sabato 10 marzo 2012

Il self-help che mi è stato raccontato - Pina Caporaso

Ciò che voglio restituire sono le impressioni e le riflessioni venute dalle interviste che ho avuto il piacere di rivolgere ad alcune donne che si sono occupate di self-help a Roma, in quell'ineguagliabile decennio in cui l'età della ribellione per molte coincise senza appello con l'Epoca della rivoluzione. Erroneamente, infatti, e questo mi pare di poterlo condividere con tante protagoniste degli anni '70, quel periodo è ricordato nell'immaginario contemporaneo come il periodo degli anni di piombo, del terrorismo, della fine delle belle speranze. In pochi, e spesso non a caso sono donne, ricordano invece un altro grande protagonista del tempo...
...che viveva nelle piazze ma anche nelle case in cui le donne si riunivano per parlare della vita sessuale come del ciclo mestruale; viveva negli scantinati affittati per dare un servizio alle altre ma anche per conoscere se stesse; cresceva nei porta a porta di quartieri popolari nei quali si spiegava alle donne quali fossero e come si usassero gli anticoncezionali; si diffondeva con opuscoli ciclostilati e in interminabili riunioni, anche a suon di sonore litigate e differenze, in luoghi occupati e ridisegnati.
Era il femminismo, ed una sua parte che ha davvero cambiato il volto della nostra contemporaneità, pur con tutte le sue contraddizioni ed i suoi irrisolti, è stato il movimento che si è occupato della salute delle donne. E' da tanto che sono in questa trama, cercando di ricostruire un po' alla volta le tessere del mosaico. Non è facile farlo, perché mi sento esterna alla vicenda, per ragioni anagrafiche e generazionali, ma fortemente interna per condivisione ideale e gratitudine. Non è un termine quest'ultimo che uso a caso. Sento di essere figlia di questa storia collettiva e mi piace poter rappresentare, certo arbitrariamente, come tutto ciò che scegliamo d'altronde, una continuità tra le generazioni. Perché questo filo non si spezzi, e tanti piccoli semi nelle sparpagliate coscienze individuali delle nuove generazioni femminili poco alla volta comincino a germogliare.
Ho intervistato prevalentemente le donne che facevano parte del GFSD (Gruppo Femminista per la Salute della Donna) e del Consultorio Aurogestito di via dei Sabelli, entrambe esperienze romane. Nel primo caso, l'intenzione è stata direttamente quella di partire dal self-help e dalla ricostruzione delle sue caratteristiche, intrecciate ai vissuti e alle rielaborazioni delle protagoniste. Con le donne di San Lorenzo, invece, il rapporto è antecedente; le interviste che avevo svolto riguardavano soprattutto l'aborto, che era l'argomento della mia tesi di laurea, ma anche lì ho trovato che il tema della riappropriazione del corpo fosse centrale per tutte loro.
Parto proprio da qui: la riappropriazione del corpo femminile  fino ad allora sconosciuto o usato male, parcellizzato da una medicina poco incline alla ricerca del benessere e della salute e, al contrario, focalizzata sulla malattia e sull'organo malato, ridotto nella sessualità alla sola visibilità degli organi genitali, trasformato nei suoi aspetti fisiologici in qualcosa di patologico e bisognoso di interventi spesso invasivi. L'autovisita e lo speculum rappresentano l'agire e il suo strumento, simbolo di una capacità esplorativa e conoscitiva della vagina e, attraverso questa, del funzionamento del proprio corpo (il ciclo mestruale e i segni che esso restituisce, le infezioni vaginali, come riconoscerle e provare a curarle con rimedi naturali, l'umore,  l'alimentazione...). In questo approccio al corpo, l'aspetto più dirompente è probabilmente il percepirlo come unità tra psiche e soma, imprescindibile dal fattore umano ed emotivo che lo governa, tanto estraneo ad una scienza e una medicina presuntuosamente onnipotenti e dichiaratamente infallibili. Con le sue pratiche, il self-help cerca di sottrarre ai medici e agli ospedali la gestione della salute e della fisiologia femminile, critica soprattutto le modalità della medicina allopatica, fornisce strumenti per non subire passivamente la specializzazione medica, in particolare  quella ginecologica, si apre alle medicine alternative non occidentali. Talvolta questo avviene anche in maniera acritica; ma certe sbavature sono da attribuire più all'entusiasmo collettivo e a una certa mentalità sperimentale, esplorativa, che alla superficialità o alla creduloneria. Queste donne, infatti, sapevano ciò che facevano. Studiavano, si documentavano su Lancet, alcune provenendo da facoltà scientifiche, altre andando a cercare e tradurre documenti che il femminismo, soprattutto americano, cominciava a divulgare attraverso opuscoli e pubblicazioni entrati poi a pieno titolo nella bibliografia sul tema. “A new view of a woman's body”, a cura della Federazione dei Centri femministi per la salute delle donne di Los Angeles, “Noi e il nostro corpo – Scritto dalle donne per le donne” del Collettivo di Boston, “The birth book” di Raven Lang, tradotto in “Riprendiamoci il parto”: questo genere di testi rappresentavano un nuovo riferimento collettivo imprescindibile e di grande forza. Alcune donne, nelle interviste, raccontano lo studio, la ricerca, le traduzioni; ma il punto di forza, ancora una volta, era far passare il sapere attraverso il corpo e la sua esperienza. Annotare ciascuna su un proprio quaderno l'andamento del ciclo, le regolarità e le variazioni, lo stato dei genitali esterni, della vagina e del collo dell'utero, le secrezioni. Osservare e riflettere con continuità, talvolta per anni, ha portato poi a scrivere, trasferire informazioni e conoscenze dedotte dallo studio e dalla sua applicazione ed eventualmente revisione pratica. Fondamentali le donne americane, con il loro pragmatismo talvolta ingiustamente ricordato solo come servizio: il confronto con loro, che stavano già guadagnando degli spazi di autonomia e di valore nel proprio lavoro, ha avuto anche la valenza di sprovincializzare le mentalità e gli approcci diffusi in un paese arretrato come era l'Italia di quegli anni.    
Ed è stato quindi un proliferare di opuscoli, materiale informativo, tour dimostrativi e lezioni nelle scuole, serate con gli altri collettivi, banchetti alle manifestazioni con modellini di uteri in plastica, speculum, contraccettivi, perché ogni momento è buono per parlare di sé, per tornare al corpo. In questo c'è l'altra grande attività dei gruppi di self-help: informare, divulgare, far sapere. Socializzare le conoscenze, condividere nell'intimità la visione di un organo finalmente svelato e illuminato, fuor di metafora, dalla torcia che accompagna lo speculum. Lavorare CON le donne o lavorare PER le donne? Essere “tecniche” o sentirsi alla pari? Domande inevase da una pratica che, per sua natura, non poteva essere appannaggio di “professioniste” della cura, ma doveva tornare ad esprimere una  sapienza femminile diffusa, si potrebbe dire popolare. Perciò l'immagine è un caleidoscopio fatto di tanti pezzi tutti insieme a formare la figura, e cangiante girando angolatura. Nel self-help  c'era fluidità, forse meglio: liquidità, per dirla con un termine oggi à la page. E' presente in molti racconti l'idea della rete, così seducente e diffusa nel nostro tempo, della quale le donne del self-help sono state inconsapevoli antesignane. Poca strutturazione ma appuntamenti fissi e attività costanti, molto fare, orientamento alle pratiche. Una leadership “leggera” ma sentita c'era: Ann Noon, che fino al 1980 coordinò pazientemente e con decisione il gruppo rendendolo coeso al suo interno ed attivo nel rapporto con il “gruppo madre” del self-help americano.
E nel “fare” merita ricordare il Convegno Internazionale sulla salute della donna del '77, del quale si racconta in un numero monografico di “Differenze”(n.6/7). Tanti temi trattati, da tanti gruppi di lavoro, da donne di tante parti del mondo, in un clima sereno e collaborativo, e faticoso al tempo stesso: le donne e le istituzioni mediche, implicazioni politiche del self-help, i consultori gestiti dalle donne, contraccettivi, aborto, il parto, lavoro e salute, infezioni vaginali, l'estrazione mestruale, le donne e l'invecchiamento, le donne come detentrici di medicina popolare, la sessualità, il coordinamento internazionale sulla salute femminile. Non fu l'unico Convegno realizzato dal gruppo. Cresceva infatti negli anni il lavoro sulla maternità e il parto, e sulla genitorialità. Un approccio ante litteram rispetto a tutte quelle che sono oggi le raccomandazioni degli organismi internazionali che si occupano di salute nel percorso nascita: non considerare la gravidanza un evento patologico, sottrarla alla medicalizzazione, riconsiderare la possibilità del parto in casa e di metodi di parto alternativi come forma di empowerment, allattamento al seno e alimentazione dei bambini; gruppi di discussione anche con i padri per definire modelli educativi diversi da quelli predominanti. Il Convegno “Chi ha paura della cicogna?”, realizzato nel 1983, forse sintetizza al meglio l'evoluzione di questi temi, il modo in cui nel tempo erano stati elaborati e si erano intrecciati con le professionalità crescenti in ambito ostetrico-ginecologico di alcune donne provenienti dai gruppi di self-help.
E oggi, cosa rimane?
Per quasi tutte le donne che ho intervistato, le scelte e le esperienze fatte con il self-help hanno determinato il loro futuro in ambito professionale e spesso anche personale. Sono diventate psicoterapeute, ginecologhe, ostetriche, dottore in medicina cinese, bioproduttrici, docenti, consulenti per le strutture sanitarie o per gli istituti di ricerca che hanno a che fare con la salute femminile e/o materno-infantile. Alcune hanno continuato ad occuparsi a tempo pieno di questi temi arricchendoli con la formazione successiva. Altre hanno ritrovato il gruppo dopo molti anni in un incontro collettivo nella sede di Archivia, per ricominciare a parlare di self-help.
C'è, però, un altro oggi del quale bisogna dire. E' quello dei consultori sotto attacco, della perdita di dignità del corpo delle donne, del ricorso all'IVG delle minorenni, del 60% di parti con cesareo in alcune regioni italiane. Eppure questo presente che non ci piace, che pare riportarci indietro anni luce, è fatto anche della riscoperta di metodiche naturali e di professionalità che, dentro alcune poche strutture di eccellenza, talvolta pubbliche e non lucrative, riescono ad affermare un approccio diverso alla salute delle donne, alla gravidanza, al parto. Si compone del numero crescente di blogger che, attraverso Internet, non tace, racconta, si unisce, lotta ancora. E' fatto di trentenni, spesso precarie, che amano tirare fuori carte polverose e voci femminili per raccontare le storie delle donne che le hanno precedute; che vogliono scoprire i femminismi, agganciandoli con le visioni e le elaborazioni che provengono da altri paesi e altre culture, rivendicando la fuoriuscita dalla modernità occidentale, per aprire lo sguardo verso nuove differenze che si intrecciano a quelle già note.
Perciò dobbiamo riparlare del self-help, farlo conoscere, raccontarne ancora. Perché il filo non si è spezzato, e la trama può solo irrobustirsi. 


Post scriptum:
In queste riflessioni non ci sono citazioni né riferimenti bibliografici. Una bibliografia del self-help è uno degli obiettivi del gruppo, la stiamo componendo poco alla volta. Voglio però precisare che le osservazioni sono frutto delle interviste che abbiamo raccolto e che cercheremo di restituire gradualmente, raggruppandole per temi.
Il lavoro sul self-help non sarebbe stato possibile senza Livia Geloso, che mi ha fatto sentire in ogni momento sicura e fiduciosa; senza Ines Valanzuolo, che merita un posto di primo piano nel femminismo italiano e nel mio cuore; senza Silvia Tozzi, che ha seguito attentamente ogni riflessione. E poi voglio nominarle una ad una:
Cristina Damiani, Alessandra Gulì, Angela Petrotta, Carla Petrotta, Stefania Costa, Patrizia Regazzoni, Francesca Dragone, Rosaria Gerardi, Rita Mazzone, Caterina Arcidiacono, Verena Koenig, Manuela Merli, Angela Spinelli, Serena Donati, Patrizia Mancini, Ulla Tenenbaum, Stefania Raspini. In momenti diversi, i loro racconti sono stati fondamentali.  
  

1 commento:

  1. Dopo l' incontro di oggi 21 aprile, mi chiedo perchè mai le femministe storiche abbiano così paura di rimettersi in gioco tornando a praticare autocoscienza e self-help, magari riveduti e corretti dalle altre esperienze di crescita personale fatte in questi anni di assensa.
    Non è forse proprio questa interruzione nella pratica che ha creato il cosiddetto gap generazionale ?
    Prendersela con le giovani per la loro apparentemente tranquilla assuefazione alle leggi di mercato non serve. Serve piuttosto chiedersi: ma se questi metodi sono validi e praticabili a tutte le età perchè noi stesse che li praticavamo li abbiamo interrotti ?
    Un saluto a tutte e un complimento per la bella giornata passata insieme.
    MEG

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